Il piano di Luca de Meo: rimettere il cliente al posto di guida

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Velocità, dati e attenzione al cliente: il lusso sta abbandonando il genio creativo per il consumatore?


Luca de Meo, da CEO di Renault a nuovo leader del lusso, ha presentato il suo piano per rilanciare il gruppo Kering. La sua strategia prevede una svolta radicale: separare il design tra visione creativa e “buon senso” tipico dei beni di consumo, riducendo in modo drastico i tempi di sviluppo.

Emerge un nuovo mantra: 20% pura creatività, 80% comprensione del consumatore. Esploriamo dunque il piano che intende rimettere il cliente al centro della maison, accelerandone allo stesso tempo il ritmo. In sostanza, cosa significa tutto questo per l’industria della moda?

Il piano di Luca de Meo: la regola dell’80/20 arriva nell’alta moda


Al centro della strategia di de Meo c’è una mossa decisiva: “rimettere il cliente al centro, per non dipendere più esclusivamente dalla visione del direttore creativo.” Non si tratta di eliminare la creatività, ma di applicarla in modo più strategico. De Meo sostiene che la visione individuale di un designer resti essenziale — ma solo per il 20% di una collezione. Ossia per i “prodotti più innovativi e iconici” che definiscono il sogno di una maison.

Per il restante 80% — l’assortimento principale di piccola pelletteria, calzature e prêt-à-porter — è necessaria una nuova disciplina. De Meo ritiene fondamentale “instillare il buon senso che prevale nel settore dei beni di consumo”. Come? Basando le decisioni su una “precisa comprensione delle aspettative dei consumatori.”

Questo annuncia un cambiamento profondo verso una visione customer-centric. Le scelte estetiche non deriveranno più unicamente dall’intuizione del designer, ma saranno guidate da dati concreti: analisi di mercato, cifre di vendita e feedback diretti dei clienti. La sfida — e l’obiettivo finale — è soddisfare questi gusti “senza sacrificare l’identità delle maison.”

La necessità di velocità: dimezzare l’orizzonte


Una conseguenza diretta di questo approccio guidato dai dati è un aumento drastico della velocità. Secondo la stampa francese, de Meo punta a dimezzare i tempi di sviluppo del prodotto, comprimendo il percorso dall’idea iniziale al lancio sul mercato da un anno a soli sei mesi.

Infatti, questa rapida accelerazione segna un cambiamento fondamentale. Prende in prestito tattiche dal fast fashion e rompe intenzionalmente con il ritmo tradizionalmente misurato e meticoloso del settore del lusso.

È una scommessa audace, che mira a rendere il lusso più agile e reattivo.

Considerazioni finali


Il piano di Luca de Meo rappresenta una prescrizione pragmatica, seppur radicale, per stabilizzare Kering. Ma per il mondo della moda nel suo insieme solleva una domanda più profonda: cosa definisce davvero il lusso nell’era moderna?

Da un lato, la logica è convincente. Di fronte al rallentamento del lusso e all’instabilità globale, il modello 80/20 agisce come una salvaguardia cruciale. È una risposta diretta al tipo di reinvenzione vista in Gucci sotto la direzione di Alessandro Michele. Un’esplosione creativa che ha finito per saturare il mercato, trasformando il marchio in un marché aux puces dove tutto è possibile. In questo contesto, un ritorno disciplinato ai codici consolidati della maison appare come una strategia difendibile per preservare l’integrità del brand e la sua resilienza commerciale.

Eppure, questa stessa disciplina — con i suoi dati centrati sul cliente e la spinta incessante verso la velocità — costringe a confrontarsi con l’anima del lusso. I valori fondamentali di creatività, artigianalità ed esclusività possono sopravvivere a un ritmo che dimezza i tempi di sviluppo? La strategia sembra accelerare la traiettoria già in atto verso l’industrializzazione, conducendoci a un bivio cruciale. Stiamo andando verso un futuro di lusso prodotto in serie? E se sì, che ne sarà allora dell’esclusività?

Questa tensione invita a una critica mirata, colorata dal background automobilistico di de Meo: si tratta di una ridefinizione del lusso o semplicemente di gestire una maison come una casa automobilistica, con collezioni stagionali che scorrono da una catena di montaggio concettuale? Il piano espone chiaramente le sue priorità: promuovere un paradigma di slow fashion non rientra nell’equazione.

In conclusione, la risposta, nella visione di de Meo, è inequivocabile. Per l’architetto di questo piano, non c’è spazio per la nostalgia. Nella corsa verso il futuro del lusso, non c’è posto per la moda lenta.

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Un capo, una storia: La Giacca in Pizzo Jacquard di Meagratia

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Un dialogo tra forza e fragilità — per chi veste di contrasti


La Giacca in Pizzo Jacquard del brand giapponese Meagratia. In un sistema che produce tonnellate di vestiti usa e getta, noi curiamo: un capo, una storia. Una visione radicale di resistenza etica ed estetica — capi significativi espressione di buon design. Slow fashion fatta per durare.

La Giacca in Jacquard di Pizzo non si limita a pendere dal corpo; lo impegna in un dialogo silenzioso. La struttura discute con la delicatezza. Il tailoring maschile trova risposta nel sussurro femminile del pizzo jacquard. Il gesto di Meagratia non è di collisione, ma di una fusione attenta e ponderata.

Grigio antracite — non il grigio anonimo del cemento, ma il grigio profondo e minerale del cielo prima del temporale. Un colore che contiene il suo stesso clima.

Una donna siede in uno studio minimalista, inondato di luce, tra cemento levigato e legno recuperato. Indossa la giacca su nulla più di un semplice top grigio ardesia e pantaloni sartoriali. La linea netta del risvolto incornicia il suo viso; il pizzo sui polsi rivela un accenno di pelle e polso. La sua postura è insieme rilassata e autorevole.
Non è vestita per un pubblico, ma per se stessa. L’ abbottonatura asimmetrica è allacciata proprio così — un dettaglio per chi nota i dettagli.
Il silenzio nella stanza non è vuoto; è carico di intenzione.

Un manichino sartoriale indossa la Giacca in Jacquard di Pizzo di Meagratia, abbinata a un top asimmetrico in seta antracite e pantaloni in lana taglio sartoriale. La scena è ambientata contro una parete bianca e pulita, incorniciata da piante verdi ai lati e una fila di piccoli quadri in alto, creando un'atmosfera da studio minimalista e intenzionale.
La Giacca in Pizzo Jacquard di Meagratia – Il Top Asimmetrico in Seta di Marc Le Bihan

L’architettura di una contraddizione

  • Il tessuto: un pizzo jacquard in poliestere e cotone. Non è una confessione di fibre naturali, ma un’affermazione di pragmatismo moderno. Il pizzo fornisce la poesia; la miscela garantisce la resilienza, permettendo alla struttura delicata di reggere nel mondo.
  • La fodera: 100% cupro. Questo è il segreto. Una carezza setosa e traspirante sulla pelle, un lusso nascosto che chi indossa porta con sé dentro il guscio assertivo della giacca.
  • La fattura: fatto in Giappone. Non è una località, ma una credenziale. Parla di una cultura in cui la cucitura è rispettata, il dettaglio è onorato e il processo è importante quanto il prodotto.

La Giacca in Pizzo Jacquard: un secondo argomento da indossare


Questo è un pezzo che guadagna la sua intelligenza con l’uso. Riconosce che l’identità non è monolitica, ma una collezione di verità contrastanti.

  • Per la sala riunioni che ha bisogno di un fremito di poesia: abbinata a pantaloni a gamba larga in lana e loafers affilati. Il pizzo sui polsi è il tuo unico gioiello.
  • Per la serata che sfida ogni definizione: gettata sopra un vestito fluido in seta nera e stivali pesanti. Le spalle strutturate che si stagliano contro la notte.
  • Per l’atto quotidiano di essere complessi: con jeans sbiaditi e una maglietta bianca, a trasformare il mondano in una dichiarazione ponderata.

🌟 La Giacca in Pizzo Jacquard di Meagratia
Un dialogo limitato tra ombra e luce.

🖤 Per informazioni: DM @suite123 WhatsApp | e.mail

Disponibile su appuntamento per lo shopping a Milano o in tutto il mondo—dallo schermo alla tua porta. Dalle nostre mani alla tua storia.

P.S. Chiedici della manifattura giapponese dietro questa giacca, o come spezzarne la formalità con i tuoi jeans più consumati. Siamo qui per le conversazioni, non solo per le transazioni.

Nota a margine: La fodera in cupro è una lezione di grazia nascosta. Insegna che la vera sofisticazione sta in ciò che si percepisce, non solo in ciò che si vede.

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(Un)Sustainable Fashion Awards 2025: L’evento di greenwashing alla Milano Fashion Week

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Un green carpet durante la Milano Fashion Week per celebrare il più grande paradosso della moda


Il 27 settembre, il Teatro Alla Scala ha ospitato i CNMI Sustainable Fashion Awards 25, l’evento ufficiale del green carpet per la Milano Fashion Week SS26. La sua missione: celebrare gli innovatori e le case di moda italiane, che apparentemente guidano il settore verso un futuro sostenibile.

L’evento, organizzato dalla Camera Nazionale della Moda Italiana in collaborazione con l’UN Alliance for Sustainable Fashion, ha promesso di onorare coloro che si sono distinti per la loro “visione, innovazione, impegno per l’artigianalità, economia circolare, diritti umani, giustizia ambientale e biodiversità”.

Un simbolico tappeto verde ha accolto ospiti come Anna Wintour e Naomi Campbell, che hanno indossato outfit realizzati con materiali sostenibili, presentando un fronte unito per un’industria della moda più verde.

La celebrazione: nove premi “green”


La cerimonia ha consegnato nove premi, ciascuno rivolto a un pilastro fondamentale della sostenibilità:

  • The SFA Craft and Artisanship Award: Tod’s Group
  • The SFA Circular Economy Award: Regenesi
  • The SFA Biodiversity and Water Award: Ermenegildo Zegna Group
  • The SFA Climate Action Award: Schneider Group
  • The SFA Diversity and Inclusion Award: Willy Chavarria
  • The SFA Groundbreaker Award: Aura Blockchain Consortium
  • The SFA Education of Excellence Award: Kiton
  • The SFA Human Capital and Social Impact Award: Saheli Woman
  • The Bicester Collection Award for Emerging Designers: The Sake Project

Il culmine della serata ha visto Anna Wintour consegnare il nuovo Legacy Award a Giorgio Armani.

Tuttavia, in base a tutti i resoconti ufficiali, è stata una notte di trionfo: una consolidazione delle missioni sostenibili dei brand, ampiamente coperta dalla stampa come un passo avanti positivo.

Eppure, secondo l’Ansa: “I pubblici ministeri chiedono l’amministrazione giudiziaria per Tod’s. La Procura di Milano ha richiesto che il produttore di calzature di lusso Tod’s spa venga posto sotto amministrazione giudiziaria per presunto sfruttamento dei lavoratori in fabbriche gestite da cittadini cinesi all’interno della sua filiera produttiva, hanno riferito fonti all’ANSA mercoledì, confermando una notizia di Reuters.”

D’altronde, è addirittura paradossale, con tutti i brand finiti sotto inchiesta per sfruttamento del lavoro. Tod’s è semplicemente l’ultimo nome aggiunto alla lista. Come valuta il CNMI questo particolare aspetto della “sostenibilità”?

Sustainable Fashion Awards: ma cosa significano davvero?


E così, per una notte, tutte queste persone hanno indossato materiali sostenibili. I titoli dei giornali celebravano una visione green. I brand sono stati acclamati.

Ma è qui che dobbiamo fermarci e chiedere: cosa significa tutto questo, in realtà? Qualcuno, lì presente, ha un’idea di cosa significhi “sostenibile”?

Un singolo premio cancella l’enorme modello di produzione lineare di un brand? Giustifica l’immenso uso di acqua e suolo di una filiera globale? Indossare un solo outfit sostenibile sul red carpet rende sostenibile l’intera casa di moda presente? Davvero, di cosa stiamo parlando?

Sostenibilità: la scomoda verità


La scomoda verità è questa: la vera sostenibilità nell’industria della moda, così come opera attualmente, è un mito.

Celebrare la “Moda Sostenibile” in una galà di premi scintillante è il più grande paradosso del settore. Questi premi creano l’illusione del progresso mentre il sistema centrale — costruito su sovrapproduzione, iperconsumo e filiere globalizzate e opache — rimane fondamentalmente immutato.

Alcune collezioni sostenibili o esperimenti sui materiali non sono sufficienti per compensare l’impronta ambientale e sociale di un’industria da migliaia di miliardi di dollari.

Per essere veramente sostenibile, l’industria della moda non avrebbe bisogno di premi; avrebbe bisogno di essere rifatta da zero. La natura stessa di queste cerimonie ne espone l’inerente contraddizione, un punto perfettamente illustrato da un estratto dal nostro libro This is Greenwashing, che include un curioso aneddoto:

“Mentre il nome suggerisce un riconoscimento dei progressi verso la circolarità o la sostenibilità, questi premi raramente vanno a piccoli brand indipendenti. Invece, mettono sotto i riflettori le stesse grandi case di moda – quelle con le più grandi impronte ambientali e budget di marketing.
In un’edizione dei Green Carpet Fashion Awards, il designer Antonio Marras ha presentato un vestito interamente realizzato con tessuti riciclati. Tuttavia, poiché i tessuti non provenivano da marchi certificati come sostenibili, la giuria gli ha chiesto di rifare l’abito da zero. L’ironia di questo aneddoto è sconcertante—si tratta di promuovere il riciclo, o di spuntare caselle di certificazione? E davvero, c’è qualcosa di più insostenibile di così?”

Eppure eccoci qui, a celebrare qualcosa che non esiste nemmeno. Questa storia incarna l’intero paradosso. Non si tratta di sostanza; si tratta di spettacolo. Con i Sustainable Fashion Awards 25, non stiamo celebrando la sostenibilità. Stiamo celebrando la sua illusione, accuratamente costruita attraverso il branding.


Vuoi imparare a riconoscere l’illusione verde?
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La disciplina dell’eredità: La creatività nel rispetto delle maison

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Paris Fashion Week SS26 e il rispetto creativo: come i migliori designer servono la storia della maison


La disciplina dell’eredità è la qualità distintiva di un vero designer — un quieto antidoto al caos del sistema della moda contemporaneo. Nel clamore per l’hype e la popolarità, standard che oggi spesso sembrano prioritari, questa disciplina rimane il fondamento di un design duraturo.

Questo principio viene messo alla prova in modo cruciale tra le mura sacre delle case di moda storiche. Qui, il ruolo del designer si trasforma da creatore unico a interprete; il suo successo non si misura solo dalla forza della sua voce individuale, ma dalla sua capacità di incarnare l’anima della maison. La vera sfida sta nel portare una prospettiva fresca, onorando al contempo i codici fondativi e l’essenza della casa. È un rifiuto dell’idea che una direzione creativa sia una piattaforma per trattare il patrimonio di una maison come una mero veicolo per il proprio brand. Per il proprio ego.

Quando questo rispetto creativo incontra la maestria — quando un designer serve veramente l’eredità che gli è stata affidata— accade qualcosa di notevole. Il lavoro trascende una dichiarazione stagionale. Diventa la continuazione di una storia. E in quel delicato equilibrio, non solo vediamo abiti; sentiamo l’entusiasmo duraturo per la moda stessa.

Paris Fashion Week SS26: La disciplina dell’eredità


Tom Ford: su una passerella buia e fumosa, Haider Ackermann ha presentato una lezione magistrale di sensualità notturna. È stata una straordinaira lezione di atmosfera sexy, una fusione magistrale della sua austera eleganza con i codici consolidati di lusso e seduzione di Tom Ford. Ackermann ha dimostrato la sua capacità di far evolvere il brand restando fedele al suo DNA di desiderio e glamour. (Guarda la collezione qui.)

Issey Miyake: il movimento è sempre stato il cuore del lavoro di Miyake, e la collezione SS26 ha ridefinito il concetto stesso di vestirsi con abiti che prendono vita. I tessuti respirano, si trasformano e si adattano al corpo in una metamorfosi continua. Questa è la moda come atto d’amore per il movimento — un codice fondamentale brillantemente rispettato dal design team. (Guarda la sfilata qui.)

Givenchy: Sarah Burton ha offerto una visione spettacolare della femminilità. La collezione era uno studio sui contrasti: un tailoring brillante e potente infuso di uno spirito poetico e sensuale. Ecco una designer donna che veste le donne —apprezzandole, rispettandole e rendendole più forti, tutto onorando i codici della maison. (Guarda lo show qui.)

Balenciaga: La bellezza, l’eleganza, la maestria. Questo è stato un ritorno ai principi fondamentali della casa. Grazie, Pierpaolo Piccioli, per aver restituito a Balenciaga la sua eredità di sublime eleganza. Piccioli ama le donne; le celebra invece di mortificarle, riportando in primo piano bellezza e dignità. (Il circo degli orrori è finito, almeno da Balenciaga).
(Guarda la collezione qui.)

Chloé: Chemena Kamali merita un “brava” per aver fatto evolvere il brand andando oltre lo stile hobo. Ha riproposto con abilità i codici del patrimonio della maison — fiori, drappeggi delicati e uno spirito soft e romantico — per tracciare un nuovo percorso raffinato per la femminilità di Chloé. (Guarda la presentazione qui.)

Considerazioni finali


In fondo, la moda è bellezza. La moda è un sogno.
Quindi, ciò che diventa chiaro è che la disciplina dell’eredità non è un vincolo, ma un catalizzatore. È praticata da pochi eletti: i designer che comprendono veramente il loro ruolo. Coloro che vedono il loro ruolo non come una piattaforma per il proprio ego, ma come una fiducia sacra. Sono gli abili interpreti che comprendono come la loro vera creatività si riveli attraverso un dialogo con la storia della maison.

Il loro lavoro dimostra che la moda, nel suo stato migliore, è il matrimonio tra bellezza e significato. È un sogno condiviso. E quando la strategia aziendale ha la saggezza di affidare la propria eredità a questi maestri del mestiere, essa stessa prova che le creazioni più stupefacenti della moda sono quelle che onorano il passato mentre ne modellano audacemente il futuro.

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Paris Fashion Week SS26: uno scroll distopico

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La dissonanza social tra le sfilate parigine e la Flotilla diretta a Gaza


La Paris Fashion Week SS26 si dispiega in tutto il suo lusso: passerelle lucenti, celebrità in prima fila, stilisti che svelano le loro visioni. Un’aura in cui sempre meno persone sono disposte a credere. Scorri lo schermo, e l’immagine successiva mostra la Global Sumud Flotilla, navi cariche di cibo e medicine, bloccate da Israele in acque internazionali mentre la popolazione di Gaza muore di fame.

Questo è l’apice della dissonanza social: abiti di lusso e navi di aiuti, applausi e disperazione, bellezza e fame — che si scontrano nello stesso feed. Siamo onesti, sembra il mondo più distopico di sempre.

Mentre guardavamo le sfilate, non riuscivamo a liberarci dall’ansia per la Flotilla e per i coraggiosi esseri umani che cercano di restituire un senso di umanità — qualcosa che ormai sembra sempre perduto.

E così, con questo peso sull’anima, ecco il nostro punto di vista su alcune sfilate.

Paris Fashion Week SS26: i designer più longevi


Saint Laurent
Vaccarello sta rafforzando la visione del marchio spingendo le sue idee ma rimanendo sempre fedele ai codici della maison. “Non si tratta di creare abiti che tutti possano indossare”, ha dichiarato. In effetti, l‘eredità e la grandiosità sono state pienamente celebrate.

Louis Vuitton
Ghesquière si è allontanato dal futurismo verso qualcosa di più intimo e accessibile, sebbene sempre filtrato attraverso la sua lente sperimentale. “L’atmosfera che desideravo condividere era la serenità che si prova nella comodità della propria casa”. Una riflessione sull’art de vivre — vestire per se stessi, per l’intimità. Dopo oltre dieci anni al timone, rimane profondamente consapevole del suo ruolo.

Balmain
Rousteing ha presentato un distacco ponderato dal suo solito massimalismo, optando per un’eleganza raffinata con ispirazione naturale. Forme rilassate e texture terrose evocavano uno spirito bohémien da spiaggia, offrendo una prospettiva fresca sulla donna Balmain. “Questa volta, si tratta più di sicurezza in se stessi. Questa non è un’armatura, questa è libertà”, ha affermato. Con 14 anni alla guida, Rousteing rimane uno dei pochi designer in grado di offrire una collezione coesa e ben sviluppata.

L’esordio alla Paris Fashion Week SS26: JW Anderson saprà essere all’altezza di Dior?


Dior
L’esordio di Anderson è stato uno dei più attesi della stagione. La sfilata ha richiamato una parata di celebrità – l’attuale termometro del potere di un brand nel settore. Strizza l’occhio ad una clientela più giovane con minigonne e accessori come le scarpe coniglietto, facili da vendere. Eppure, la collezione non ha soddisfatto le aspettative, mancando di un momento determinante. Come ha notato Diet Prada: “Non ogni look è riuscito” — l’unica voce critica in un mare di elogi.

Alcuni pezzi, come il vestito palloncino con maxi-fiocco, sono sembrati forzati. Ma come reagirà la clientela tradizionale di Dior?

In occasione della preview per la stampa italiana e irlandese, Anderson ha ammesso con candore: “Non sono un couturier”. Infatti, la verità è che è stato scelto per l’hype e il successo commerciale che ha garantito a Loewe, non per le sue capacità tecniche. Come abbiamo spesso detto, la moda non è più un lavoro per stilisti — nemmeno l’alta moda. I conglomerati non vogliono l’alto artigianato; vogliono l’impatto virale. Come ha scritto Joelle Diedrich sul WWD: “In realtà, somigliava terribilmente ai suoi lavori precedenti per Loewe”.

Considerazioni finali


Mentre la Paris Fashion Week SS26 si svolge, lo spettacolo solleva una questione di rilevanza. Le sfilate giravano sugli schermi mentre le barche che trasportavano cibo e medicine a Gaza venivano fermate in acque internazionali.

Swipe dopo swipe, bellezza e tragedia si scontravano.

E in questo scorrere, è impossibile non sentire il peso del mondo — un promemoria che la moda, per quanto scintillante, esiste in un contesto di reale sofferenza umana. A Milano o a Parigi, la domanda rimane esattamente la stessa: qual è lo scopo della moda quando il mondo al di fuori della passerella vive una profonda crisi epocale?


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