Milano Fashion Week AI25/26 parte con la nuova misura di Gucci e l’ottimismo di Capasa

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Tra una visione per il futuro della moda e l’illusione del lusso?


La Milano Fashion Week AI25/26 si è aperta con Gucci che ha presentato la sua collezione post-De Sarno, accompagnata da una dichiarazione audace di Carlo Capasa, presidente della CNMI, sullo stato del lusso. Quello che emerge è stato un netto contrasto tra il linguaggio ottimistico del settore e le dure realtà del mercato.

Milano Fashion Week AI25/26 : Gucci, una riflessione cauta ma radicata nel patrimonio


Accompagnata da una colonna sonora di Justin Hurwitz, immersiva, coinvolgente, eseguita da un’orchestra dal vivo, con uno sfondo Castleton Green. Con questo scenario, la collezione Autunno – Inverno 25/26 di Gucci ha segnato un momento di transizione per il brand. Senza un direttore creativo al timone, la collezione ha evitato l’eccessiva sperimentazione creativa vista durante la gestione di Alessandro Michele. Figura che aveva dirottato il brand allontanandolo del tutto dalla sua identità originale. Invece, questa stagione Gucci ha proposto un’estetica misurata, ispirata agli archivi dagli anni ’60 agli anni ’90, fondendoli in una immagine elegante e moderna. Il risultato è stata una chiara dichiarazione di lusso. Interpretazione che ha messo in mostra l’eccellente lavoro di un gruppo di venti giovani designer, applauditi alla fine della sfilata. Un meritato bravo al team!

Indubbiamente, questo approccio contenuto sembra una risposta deliberata al panorama del lusso in evoluzione. Tuttavia, per marchi di lusso con una storia così ricca come Gucci, la strada da seguire potrebbe essere proprio questa: bilanciare tradizione e contemporaneità, patrimonio identitario, eleganza e ispirazione d’archivio con un tocco moderno.

La dichiarazione di Capasa: una narrativa discutibile


In contrasto con l’ottimismo cauto di Gucci, le dichiarazioni di Carlo Capasa hanno suscitato maggiore polemica. Il presidente della CNMI ha respinto le preoccupazioni riguardo a un rallentamento del lusso, definendolo un semplice “riassestamento”.

“Il lusso non sta soffrendo; si sta riassestando.”

Capasa ha indicato i brand che performano bene a livello globale come prova della resilienza del settore. Inoltre, ha espresso fiducia nella capacità della moda di navigare momenti complessi. Sebbene il suo ottimismo sia comprensibile, visto il suo ruolo di promotore del settore, sembra in contrasto con la realtà del mercato. I dati suggeriscono che il lusso sta effettivamente rallentando, con molti brand che affrontano una significativa incertezza. Il fatto che alcuni marchi stiano performando bene, forse grazie a budget importanti, li rende semplicemente delle eccezioni. Questo non cancella le difficoltà affrontate dalla maggioranza.

Il quadro generale: il lusso si sta adattando o sta lottando?


Mentre la Milano Fashion Week AI25/26 si svolge, il divario tra le narrazioni ufficiali del settore e le realtà del mercato diventa sempre più evidente. La collezione più misurata di Gucci riflette un brand che risponde con cautela ai cambiamenti economici. Ma questo “riassestamento” è un segno di resilienza? O è un momento di resa dei conti per un settore che ha bisogno di una reinvenzione strategica?

Milano Fashion Week AI25/26 : due punti salienti dell’apertura


La sfilata di Gucci AI25/26 segnala un potenziale ritorno alle origini, privilegiando il proprio patrimonio rispetto alla sperimentazione. Forse questo segna la fine dell’esplorazione di percorsi senza senso e un rinnovato focus su ciò che il brand sa fare meglio.

Una riflessione finale: l’industria del lusso è davvero in controllo del proprio destino? O sta semplicemente reagendo al cambiamento inevitabile? Mentre il mondo della moda si riunisce a Milano, queste domande restano sospese, sfidando le narrazioni di ottimismo e resilienza che dominano i titoli dei giornali.

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Un calendario ridotto per la London Fashion Week

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Perché i brand più piccoli stanno guidando il cambiamento


Il rallentamento del settore del lusso ha portato a un calendario ridotto per la London Fashion Week AI25/26, che si è svolta da giovedì 20 a lunedì 24 febbraio. Infatti, quest’anno, numerosi brand hanno scelto di ritirarsi o di reinventare completamente le proprie presentazioni.

Per decenni, il tradizionale calendario della moda, basato sulle sfilate biannuali di settembre e marzo, ha dettato i ritmi del settore. Ma i tempi stanno cambiando. Mentre i colossi del lusso restano ancorati ai loro calendari consolidati, sostenuti da budget aziendali, i brand più piccoli stanno riscrivendo silenziosamente le regole.

London Fashion Week AI25/26: un calendario ridotto


“Alcuni designer stanno tagliando i costi scegliendo di saltare le fashion week alternate, presentandosi solo una volta all’anno. Il sistema della moda, che prevedeva una nuova collezione ogni settembre e marzo, un tempo pilastro delle sfilate biannuali, sta lasciando il posto a un’era più fluida, dominata da atmospfere e microtendenze.” — Jess Cartner-Morley su The Guardian.

Come riporta The Guardian, i designer indipendenti stanno sempre più optando per un’unica sfilata annuale, privilegiando la creatività rispetto alla produzione incessante. Tuttavia, questo cambiamento non è solo una risposta alle pressioni finanziarie. È una ricalibrazione consapevole. Un numero crescente di brand riconosce che la richiesta continua di novità, un tempo linfa vitale della moda, ora sembra fuori sintonia con i tempi. Pertanto, abbracciano un approccio più ponderato e sostenibile, valorizzando artigianalità, longevità e una connessione più profonda con il proprio pubblico.

“Volevamo fare un passo indietro rispetto al formato tradizionale e creare uno spazio per conversazioni significative e esperienze condivise.” Così afferma Patrick McDowell, brand londinese di moda sostenibile di lusso, che ha ospitato una cena sulla terrazza dell’Aqua Nueva. “La moda riguarda tanto le persone che indossano i capi quanto i capi stessi. E siamo entusiasti di celebrare questo momento con la nostra grande famiglia di collaboratori, sostenitori e amici.”

Questa mossa è una risposta diretta a un’industria che, per anni, è stata guidata da una velocità frenetica. Infatti, l’ascesa di interminabili trend, accelerata dai social media, ha sfumato i confini tra le collezioni stagionali. Sommando a ciò l’instabilità economica e il rallentamento del lusso, ecco che il settore della moda si trova a un bivio.

Ridefinire l’industria della moda attarverso un cambiamento culturale


In questo panorama, dove i trend nascono e muoiono alla velocità della luce e i budget sono più ristretti che mai, i brand più piccoli trovano forza nel resistere alla pressione di uscire due volte l’anno. In altre parole, presentandosi una sola volta, offrono qualcosa di più significativo. Capi che trascendono i trend effimeri e aspirano a diventare senza tempo.

Al contrario, i conglomerati del lusso restano ancorati ai loro calendari consolidati. Il loro dominio si basa sullo spettacolo e sulla sovrapproduzione, elementi profondamente radicati nel formato biannuale. Eppure, la quieta rivoluzione guidata dai brand indipendenti segnala un cambiamento culturale più ampio. Il futuro della moda non risiede nel seguire vecchi schemi, ma nel ridefinirli.

Riflessioni finali: verso un nuovo ritmo per la moda


In conclusione, un calendario ridotto per la London Fashion Week AI25/26 potrebbe derivare da vincoli finanziari. Tuttavia ha anche evidenziato un’ondata di creatività. Lungi dall’essere un segno di debolezza, questo cambiamento rappresenta un modo più significativo di connettersi. Non si tratta solo della sfilata in sé, ma di come la conversazione può evolversi, di cosa può ispirare e di quali idee può far progredire.

Mentre il settore si trova di fronte a questo bivio, vale la pena chiedersi: il futuro della moda privilegerà la longevità rispetto all’eccesso? Se i brand più piccoli sono un indicatore, la risposta sta già prendendo forma. Precisamente attraverso una creatività deliberata, un design intenzionale e un impegno a ridefinire ciò che la moda può essere. Meno, ma meglio.

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Microplastiche e Salute Umana – Parte 3: L’Impatto nella Moda

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Microplastiche e moda – Sfide & soluzioni


Questo post, il terzo e ultimo di una serie in tre parti, approfondisce l’impatto delle microplastiche nella moda, esplorando sia le sfide che le potenziali soluzioni. Si basa sulle informazioni emerse durante l’evento di divulgazione scientifica del novembre 2024, Microplastiche e Salute Umana, in cui gli esperti hanno evidenziato la presenza pervasiva delle microplastiche e la loro crescente minaccia per la salute umana. Progetto Culturale di Natasha Calandrino Van Kleef; Direzione Scientifica di Claudio Fenizia. Promosso dall’Università Statale di Milano in collaborazione con il Comune di Milano.

Puoi leggere la prima e la seconda parte [qui] e [qui]. Inoltre, puoi guardare la conferenza [qui] e [qui].

Adesso entriamo nel nostro settore, quello della moda.

L’impatto delle microplastiche nella moda


Dalia Benefatto di Devalia ha presentato un’argomentazione efficace su “L’Impatto delle Microplastiche nella Moda: Sfide e Soluzioni”. Precisamente, ha promosso un approccio scientifico all’economia circolare.

La storia dei materiali sintetici è iniziata nel 1873, quando il newyorkese John Wesley Hyatt ha brevettato la celluloide. Ossia il primo polimero artificiale, che ha rivoluzionato settori come quello cinematografico. Senza la plastica, il nostro mondo sarebbe molto diverso. Tuttavia, una volta che le plastiche entrano negli oceani, subiscono frammentazione. Cioè, si scomponengono in particelle sempre più piccole che è impossibile recuperare. Queste particelle diventano infine microplastiche. Nello specifico, è un processo a cui sono sottoposti tutti i materiali tessili e gli indumenti realizzati con fibre sintetiche.

Oggi, l’85% dei tessuti e degli indumenti è realizzato con fibre sintetiche. Il poliestere è materiale più utilizzato grazie al suo basso costo. Sebbene il fast fashion sia spesso indicato come il principale colpevole, l’intera industria della moda ha una responsabilità significativa nell’inquinamento globale da microplastiche. Infatti, il poliestere è utilizzato in modo trasversale.

Poliestere, lavaggio degli indumenti e rilascio di microplastiche


Il fast fashion è particolarmente problematico a causa del suo modello di business insostenibile. Inonda continuamente il mercato con nuovi capi realizzati con materiali sintetici. Questi tessuti rilasciano microplastiche sotto forma di fibre, note come fibrille, che sono inferiori a 5 mm di dimensione e rappresentano un contributo significativo alla crisi globale dell’inquinamento da microplastiche.

Ogni anno, oltre mezzo milione di tonnellate di fibrille vengono rilasciate negli oceani, principalmente durante il lavaggio domestico. La quantità di fibrille rilasciate dipende dalla composizione del tessuto; maggiore è il contenuto sintetico, maggiore è il rilascio. Un singolo carico di lavaggio può disperdere centinaia di milioni di fibrille nei corsi d’acqua, aggiungendosi a quelle rilasciate durante la produzione degli indumenti.

Ad esempio, i jeans – probabilmente il capo d’abbigliamento più diffuso – subiscono trattamenti aggressivi come la sabbiatura, la spazzolatura e il lavaggio con pietra pomice. Questi processi aggravano il rilascio di fibrille e sostanze tossiche, intensificando ulteriormente l’impatto ambientale.

Economia circolare e cambiamento comportamentale


Per affrontare questa crisi, è urgentemente necessario un cambiamento sistemico verso un’economia circolare. È essenziale adottare nuove abitudini comportamentali, per prolungare la vita dei materiali. Questo sostituirebbe l’attuale modello usa e getta – “estrarre, produrre e scartare” con uno che privilegia la condivisione, la riparazione, il riciclo, il prestito, il riutilizzo, la ricondizionamento e il noleggio. Tuttavia, questa transizione deve essere basata sulla scienza.

La conoscenza scientifica, i dati e l’analisi sono essenziali per creare un ciclo virtuoso. Dare il via ad una conoscenza comune aiuterà anche a combattere il greenwashing, una pratica che mina gli sforzi di sostenibilità genuini. Benefatto sottolinea l’importanza della responsabilità rispetto alla semplice sostenibilità, sostenendo azioni misurabili piuttosto che affermazioni vaghe.

Ad esempio, uno studio del 2018 ha rivelato che un singolo lavaggio di indumenti sintetici può rilasciare tra 700.000 e 1,5 milioni di fibrille di plastica. Enti scientifici hanno anche confrontato due tipi di tessuti in poliestere: uno realizzato con fibre a filamento continuo (con fibre lunghe fino a 1.000 metri) e un altro con fibre più corte (circa 10 cm di lunghezza). Il primo rilascia sei volte meno fibrille del secondo, evidenziando l’importanza della composizione strutturale nella riduzione dell’inquinamento da microplastiche.

Passi Pratici: filtri per lavatrici, scelta dei tessuti e riduzione dell’impatto della fast fashion


I consumatori possono adottare misure pratiche per mitigare l’impatto delle microplastiche. Ad esempio:

  • Filtri per lavatrici: possono catturare fino al 90% delle fibrille, impedendo loro di entrare nei corsi d’acqua.
  • Sacchetti per il lavaggio: progettati per contenere indumenti sintetici, riducono il rilascio di fibrille durante il lavaggio.
  • Scelta dei tessuti: optare per fibre naturali o di cellulosa, come cotone, lana o lyocell, può ridurre significativamente il rilascio di microplastiche.

Materiali innovativi come la fibra PLA (acido polilattico), derivata da risorse rinnovabili come l’amido di mais o la canna da zucchero, offrono alternative biodegradabili. Allo stesso modo, il biochar, un sottoprodotto della biomassa, può essere utilizzato per produrre tessuti filtranti con proprietà antimicrobiche naturali.

Nella fase di progettazione, è cruciale privilegiare durabilità, riciclabilità e compostabilità. Un cambiamento culturale verso la valorizzazione della qualità rispetto alla quantità è essenziale per limitare l’inquinamento da fibrille. In definitiva, il mercato si adatta alla domanda dei consumatori, dandoci il potere di guidare il cambiamento.

L’impatto delle microplastiche nella moda – Considerazioni finali


Le nozioni di Dalia Benefatto sull’impatto delle microplastiche nella moda ci ha colpito particolarmente, evidenziando sia gli effetti dannosi del fast fashion che il potenziale per un cambiamento positivo. La sua enfasi sulla creazione di una base di conoscenza scientifica condivisa per combattere il greenwashing è stata particolarmente stimolante.

Tuttavia, la mancanza di uno sguardo di insieme, che colleghi i punti dei vari settori rimane una sfida. Ad esempio, Carlo Covini di Lenzing ha evidenziato la confusione riguardo ai tessuti sostenibili. Di fronte a molte opzioni, i consumatori spesso faticano a identificare le scelte migliori. Immaginate se gli indumenti fossero limitati a cotone e lana, le risorse globali si esaurirebbero rapidamente. In realtà, la vera sostenibilità risiede nella diversificazione dei tessuti e dei materiali, garantendo un equilibrio tra innovazione e responsabilità ambientale. Non riguarda un singolo tessuto.

In conclusione, la lotta contro l’inquinamento da microplastiche richiede un’azione collettiva, dalla ricerca scientifica al comportamento dei consumatori. Facendo scelte informate e sostenendo un cambiamento sistemico, possiamo ridurre l’impatto dell’industria della moda sul nostro pianeta e sulla nostra salute.

Speriamo che la nostra serie in tre parti vi sia piaciuta: lasciate un commento qui sotto!

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Microplastiche e salute umana – Parte 2: Rischi per la salute e scoperte scientifiche

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Microplastiche nei nostri corpi – Cosa ci dice la scienza


Questo post, il secondo di una serie in tre parti, esplora l’impatto delle microplastiche sulla salute, esaminando le ultime scoperte scientifiche e le loro implicazioni per la salute umana. Si basa sulle informazioni emerse dall’evento di divulgazione scientifica del novembre 2024, Microplastiche e salute umana, in cui gli esperti hanno evidenziato un problema globale di primaria importanza: la presenza pervasiva delle microplastiche e la loro crescente minaccia per la salute umana.

Nel post precedente, abbiamo esplorato la natura delle plastiche e delle microplastiche, nonché le potenziali soluzioni. Oggi approfondiamo i rischi delle microplastiche per la salute e le scoperte scientifiche fatte finora.
(Potete guardare la conferenza qui e qui).

“Impatto delle micro- e nanoplastiche sulla salute umana”


Prof. Claudio Fenizia, Professore di Immunologia, Università di Milano: “Impatto delle micro- e nanoplastiche sulla salute umana.” Per comprendere la portata del problema, esaminiamo innanzitutto come le microplastiche siano diventate una parte ineludibile del nostro ambiente, e dei nostri corpi.

La plastica è diventata una parte indispensabile della vita moderna. È economica e duratura, caratteristiche che la rendono onnipresente. Oggi è quasi impossibile trovare un oggetto che non contenga plastica. Tuttavia, questa comodità ha un costo.

Nel mondo occidentale, una persona utilizza in media circa quattro imballaggi di plastica monouso al giorno. In un anno, questo equivale a 1.500 imballaggi pro capite, pari a 90 kg di rifiuti di plastica. Solo nel 2020, sono state prodotte globalmente decine di milioni di tonnellate di plastica, con circa 8 milioni di tonnellate che entrano negli oceani ogni anno. Questi rifiuti di plastica si accumulano, formando enormi isole di spazzatura. La prima di queste isole è stata scoperta un decennio fa, e da allora queste formazioni sono aumentate di dieci volte ogni dieci anni. Oggi ce ne sono circa 20, che coprono circa l’1% della superficie terrestre.

I rifiuti di plastica non galleggiano solo sulla superficie degli oceani – affondano anche, depositandosi sui fondali marini. Questo fenomeno ha portato i geologi a proporre di chiamare questo strato sedimentario come parte dell’Antropocene, un’era geologica definita da una forte influenza umana.

Oltre agli oceani, le microplastiche sono state rilevate praticamente in ogni ambiente sulla Terra, dalle falde acquifere alle regioni remote non toccate dall’attività umana. Sono persino presenti nell’aria che respiriamo.

Come si formano le microplastiche


Le microplastiche si generano attraverso l’attrito meccanico, come l’usura dei pneumatici sulle strade, il lavaggio di indumenti in poliestere e l’esposizione della plastica ai raggi UV, al calore o al freddo. Questi processi frammentano gli oggetti di plastica più grandi in micro- e nanoparticelle, che si accumulano come parte del particolato inquinante (PM10 o PM2.5).

Inoltre, la frammentazione delle microplastiche rilascia additivi: sostanze chimiche aggiunte alla plastica per ottenere determinate proprietà. Molti di questi additivi sono tossici, aggravando ulteriormente l’inquinamento. Pertanto, la miscelazione di additivi durante il riciclo della plastica solleva dubbi sulla vera sostenibilità delle pratiche di riciclo.

Queste sono microplastiche secondarie, ottenute dalla frammentazione indesiderata di plastiche più grandi. Al contrario, le microplastiche primarie sono quelle prodotte già in dimensioni millimetriche: fertilizzanti, detergenti, vernici e cosmetici.

Come le microplastiche entrano nel corpo umano


Le micro- e nanoplastiche entrano nel nostro corpo attraverso l’inalazione, l’ingestione e l’assorbimento.

  1. Inalazione: sono presenti nell’aria, rendendo l’inalazione inevitabile.
  2. Ingestione: contaminano i pesci, i prodotti agricoli (carne e verdure) e persino l’acqua potabile. Si trovano anche negli imballaggi alimentari, specialmente quando si degradano. Oggetti di uso quotidiano come spazzolini da denti, smalto per unghie e penne contribuiscono all’ ingestione di microplastiche. Studi hanno rilevato microplastiche nell’intestino e nelle feci umane, con i neonati come i più esposti – le loro feci contengono 14 volte più microplastiche rispetto a quelle degli adulti.
  3. Assorbimento: le microplastiche sono state trovate nei polmoni, nel sangue e persino negli organi umani. Sono state rilevate nelle placche aterosclerotiche, nel cervello, negli organi genitali maschili, nello sperma, nella placenta e nei cordoni ombelicali. Sebbene alcuni ritrovamenti, come quelli nel cervello, siano ancora in fase di revisione scientifica, la loro presenza in tessuti critici è allarmante.

La correlazione tra microplastiche e malattie


Ricerche emergenti hanno evidenziato collegamenti preoccupanti tra le microplastiche e varie condizioni di salute, tra cui:

  • Aterosclerosi: Il 58,4% delle placche aterosclerotiche contiene microplastiche, spesso associate a infiammazione.
  • Sviluppo fetale: le microplastiche sono state trovate nelle placente di bambini nati con ritardo di crescita.
  • Cancro: i tessuti tumorali, in particolare nel fegato e nel seno, mostrano concentrazioni di microplastiche più elevate rispetto ai tessuti sani.
  • Malattia infiammatoria intestinale (IBD): i pazienti con IBD hanno livelli più elevati di microplastiche nel corpo.

Sebbene questi studi dimostrino una correlazione tra l’esposizione alle microplastiche e le malattie, i meccanismi esatti rimangono poco chiari.

Impatto delle microplastiche sulla salute e sfide scientifiche nel dimostrare la causalità


In conclusione, l’impatto delle microplastiche sulla salute è una preoccupazione crescente, con scoperte scientifiche che ne evidenziano i potenziali rischi per la salute umana.

Nonostante le prove crescenti, stabilire un legame causale definitivo tra le microplastiche e specifici esiti sulla salute rimane complesso. La ricerca scientifica richiede tempo, è costosa e deve tenere conto di numerose variabili. Tuttavia, gli effetti infiammatori delle microplastiche sono ben documentati, sottolineando la necessità di cautela.

Nel frattempo, è cruciale sensibilizzare l’opinione pubblica sull’inquinamento da plastica e sui suoi potenziali impatti sulla salute. L’educazione e l’azione informata sono i nostri migliori strumenti per affrontare questa sfida globale.

Nel prossimo post di questa serie, esploreremo l’impatto delle microplastiche nell’industria della moda. Restate sintonizzati!

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Microplastiche e salute umana – Parte 1: Comprendere il problema

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Un approfondimento sull’evento di Milano dedicato a microplastiche e salute


Siamo lieti di condividere il primo post di una serie in tre parti dedicata all’evento Microplastiche e salute umana. Tenutosi a novembre 2024, questo incontro di esperti ha evidenziato un problema globale pressante: la presenza pervasiva delle microplastiche e il loro impatto sulla salute umana. A mesi di distanza, le scoperte rimangono di cruciale attualità.

Le microplastiche non sono più solo una preoccupazione ambientale: si trovano nei nostri stomaci, nel sangue e persino nei cordoni ombelicali dei neonati. Questa realtà allarmante è stata al centro delle ricerche presentate dall’Università degli Studi di Milano all’Acquario Civico di Milano, durante una giornata di divulgazione scientifica promossa dall’Università in collaborazione con la Presidenza del Consiglio Comunale di Milano. L’evento Microplastiche e salute umana ha riunito ricercatori, immunologi, fisici, microbiologi e ingegneri per discutere in modo accessibile le ultime scoperte scientifiche. Progetto Culturale di Natasha Calandrino Van Kleef; Direzione Scientifica di Claudio Fenizia.

Microplastiche e salute umana: perché questa iniziativa è importante

  1. Sostenibilità ambientale: affrontare l’impatto a lungo termine dell’inquinamento da plastica.
  2. Interdisciplinarità: unire competenze di diversi campi per un approccio olistico.
  3. Coinvolgimento della comunità: coinvolgere i cittadini e il Comune di Milano per sensibilizzare l’opinione pubblica.

L’obiettivo? Stimolare consapevolezza e azione sulla crescente minaccia delle microplastiche per la salute umana. Le plastiche impiegano tempi estremamente lunghi per degradarsi, portando a un accumulo di microplastiche che influiscono sulla salute umana.
Potete guardare la conferenza qui e qui.

“Plastiche: queste sconosciute”


Alberto Milani, Fisico Dip. Chimica, Materiali, Ing. Chimica “G. Natta” Politecnico di Milano ha spiegato come questi materiali permeino ogni aspetto della vita moderna. Il problema visibile sono le immense isole di plastica che galleggiano nei nostri oceani. Ma un problema ancora più insidioso risiede nelle particelle microscopiche che ingeriamo inconsapevolmente.

  • Le plastiche sono onnipresenti: hanno trasformato oggetti di uso quotidiano, design, sport e trasporti.
  • Più precisamente definiti materiali polimerici: questi includono polipropilene (PP), polietilene (PE) e cloruro di polivinile (PVC), tra molti altri.
  • Vantaggi: Leggerezza, facilità di trasformazione e minore consumo energetico rispetto ad altri materiali.
  • Svantaggi: Scarse proprietà meccaniche e persistenza ambientale a lungo termine.

Attualmente, i trend di consumo globale sono in aumento. Tuttavia, una volta creato, un polimero non può essere “disfatto”. Rimane in natura, inizialmente in forma visibile, per poi frammentarsi in particelle sempre più piccole a causa dell’usura meccanica e delle condizioni atmosferiche, diventando infine microplastiche.

Bioplastiche: una soluzione possibile?


Una delle soluzioni proposte sono le bioplastiche, ma definirle è complesso. A livello europeo, le bioplastiche sono categorizzate come:

  1. Biobased: derivati da materie prime vegetali.
  2. Biodegradabili e compostabili: in grado di decomporsi naturalmente in condizioni specifiche.
  3. Una combinazione di entrambi: biobased e biodegradabili.

In Italia, le bioplastiche sono definite solo come biodegradabili e compostabili, indipendentemente dalla loro origine vegetale o fossile.

La questione è complessa, con possibilità aperte. Con le bioplastiche, possiamo affrontare il problema sia all’origine che alla fine del ciclo di vita del materiale. Nello specifico, le bioplastiche derivate da fonti vegetali affrontano il problema all’origine, utilizzando materiali rinnovabili che bypassano il bisogno del petrolio. D’altra parte, la biodegradabilità affronta il problema alla fine del ciclo di vita, poiché permette ai materiali – sia di origine fossile che vegetale – di decomporsi naturalmente dopo l’uso.

Sebbene le bioplastiche offrano una potenziale soluzione, sollevano ulteriori domande:

  • Condizioni di biodegradabilità: quanto facilmente questi materiali si decompongono negli ambienti naturali? Richiedono processi industriali?
  • Impatto ambientale: si decompongono davvero in molecole innocue, oppure formano composti ancora più persistenti?
  • Effetti sulla salute umana: i residui della biodegradazione potrebbero accumularsi nel corpo attraverso la catena alimentare?


Conclusione


Le materie plastiche, o materiali polimerici, sono sostanze composte da macromolecole chiamate polimeri. Questi polimeri sono costituiti da lunghe catene di unità molecolari ripetute, denominate monomeri, legate chimicamente attraverso la polimerizzazione. La loro natura chimica, struttura molecolare e aggregazione nello stato solido definiscono le loro proprietà e applicazioni, rendendoli materiali incredibilmente versatili.

Tuttavia, il termine bioplastica è ambiguo e copre un’ampia gamma di materiali di origine vegetale o biodegradabili – o a volte entrambi. Sebbene rappresentino un passo verso la sostenibilità, non sono una soluzione perfetta e richiedono ulteriori ricerche per valutarne appieno l’impatto sia sull’ambiente che sulla salute umana.

La conferenza Microplastiche e salute umana ha evidenziato l’urgente necessità di affrontare questo problema, riunendo esperti di diversi settori per esplorare la presenza pervasiva delle microplastiche e i loro effetti sulla salute umana. Nel prossimo capitolo di questa serie, approfondiremo i rischi per la salute legati alle microplastiche e ciò che la scienza ha scoperto finora. Stay tuned!

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