Cultura dupe: Il nuovo volto dell’aspirazionale per la Gen Z

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La caccia al perfetto sostituto è una forma di consumo intelligente o un vicolo cieco creativo?


La cultura dupe è ovunque, e la Gen Z sembra adorarla. Abbreviazione di duplicate (duplicato), descrive una copia, una replica e, in sostanza, un falso. Implica un certo inganno, un prodotto che si maschera come l’originale. Tuttavia, c’è una nuance cruciale: si tratta spesso di copie ispirate a un prezzo molto più accessibile.

Tra le giovani generazioni, questo si è evoluto in una vera e propria “cultura del dupe”. La caccia al “super falso” è anche una forma di resistenza. La Generazione Z sta chiaramente reagendo all’esclusione sociale che il lusso ha a lungo rappresentato. In altre parole, vuole adottare i codici dell’alta moda senza pagarne il prezzo simbolico.

Lo spettro dell’imitazione


Questo trend esiste lungo uno spettro. A un estremo c’è la contraffazione vera e propria. Ossia borse, magliette, smartphone e profumi falsi che violano le regole commerciali e il copyright. È un mercato illecito e vasto che continua a prosperare. Solo nel 2024, le autorità dell’UE hanno sequestrato oltre 112 milioni di articoli contraffatti, per un valore stimato di 3,8 miliardi di euro.

All’altro estremo, tuttavia, ci sono i “dupe” perfettamente legali. Questi sono versioni low cost di prodotti iconici che promettono effetti simili senza infrangere la legge. Non sono copie sfacciate, ma “ispirazioni”, pubblicizzate come scorciatoie democratiche verso il lusso.

Il fascino del dupe: ribellione e furbizia


Per la Gen Z, fortemente influenzata da piattaforme social come TikTok, dove l’hashtag #dupe ha superato i 6 miliardi di visualizzazioni, questo è più di un semplice shopping. È un’attività sociale. I giovani consumatori mostrano con orgoglio le loro alternative low cost ai prodotti iconici.

Questo fenomeno è supportato da ricerche accademiche sulla relazione paradossale tra contraffazione e beni di lusso. Studi, inclusi quelli del MIT Sloan, suggeriscono che l’imitazione diffusa non sminuisce i brand di lusso, ma può, anzi, renderli più desiderabili, fungendo da forma di pubblicità gratuita e ubiquitária che rafforza il loro status aspirazionale. Il dupe agisce come una pubblicità non ufficiale, un linguaggio comune che tutti imparano a parlare. Inoltre, acquistare un dupe ha un altro potente appeal: fa sentire furbi. È una scorciatoia che permette di mostrare una certa affiliazione senza pagarne il prezzo pieno: un inganno sottile che suggerisce l’appartenenza a un mondo che, in realtà, rimane finanziariamente irraggiungibile.

Questo sentimento è condiviso da molti nella Gen Z, come Louana, una studentessa parigina di 24 anni (Luxury Tribune). Spiega che per la sua generazione, i dupe sono una risposta normalizzata a una combinazione di fattori: la perpetua ricerca di un affare, la percezione di un calo della qualità dei brand affermati e preoccupazioni riguardo alle pratiche produttive non etiche. Per lei, il vintage è la prima scelta, ma un dupe di buona qualità e prezzo equo è un’alternativa completamente soddisfacente.

Il vuoto educativo e la strada da seguire


La prospettiva di Louana indica un problema più profondo: una frattura nella fiducia e nell’educazione. Quando i brand di lusso sono percepiti come venditori di prodotti di scarsa qualità a prezzi folli o coinvolti in metodi produttivi discutibili, alimentano la giustificazione per il mercato dei dupe. Questa dinamica ha creato un vuoto. Le giovani generazioni vedono il lusso come un’aspirazione, ma spesso mancano delle conoscenze di base per discernere la qualità intrinseca: la capacità di distinguere una lana di alta qualità dal poliestere, o di identificare una manifattura fatta per durare.

Questo porta a una domanda profonda: la caccia al dupe è l’unica forma di resistenza?

Riflessioni finali: una resistenza che solleva interrogativi


In conclusione, è vero che per i giovani il dupe può rappresentare una forma di resistenza, un modo di reagire all’esclusione sociale perpetuata dal lusso. È un sintomo di pragmatismo economico e un rifiuto dell’elitismo. E, soprattutto, il rifiuto di farsi ingannare dai brand di lusso.

Tuttavia, questo solleva una domanda più profonda: perché i giovani non si educano verso qualcosa di meglio? Invece di scegliere tra un originale inaccessibile e una copia dubbia, perché non sostenere brand che offrono qualità e buon design, realizzati per durare, a prezzi più ragionevoli? Potrebbero non essere economici come un “dupe”, ma rappresentano una via di mezzo più sostenibile e eticamente consapevole.

La cultura del dupe è una ribellione complessa. Ma l’atto di resistenza definitivo sarebbe educare il proprio gusto verso un valore autentico: investire in qualità e design duraturo, piuttosto che nel fugace brivido di un’imitazione furba.

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