Si ferma la produzione del tessuto iconico indossato da Audrey Hepburn
Panno Casentino, addio. Per secoli, la calda consistenza del panno Casentino ha incarnato l’essenza stessa della Toscana. Ma è calato il sipario su Manifattura del Casentino. La chiusura della sua ultima azienda non segna soltanto la fine di un tessuto, ma la cancellazione di un capitolo unico nella storia dell’artigianato e dello stile italiano.
Panno Casentino: un simbolo di tradizione, artigianalità e stile
Il panno Casentino è un tessuto di lana tradizionale, robusto e caldo, originario della Valle del Casentino, in Toscana, noto per la sua superficie arricciata e inconfondibile. È reso impermeabile e resistente all’usura e agli agenti atmosferici grazie a un processo di follatura, seguito dalla cardatura, che crea i caratteristici riccioli.
La sua peculiarità distintiva è proprio questo vello ispido, che garantisce un eccellente isolamento termico, rendendolo altamente resistente al freddo, al vento e alla pioggia. Tradizionalmente prodotto in tonalità di verde e arancione, i suoi colori vivaci ne sono ormai il tratto distintivo. Si racconta che la classica tonalità arancione sia nata per caso, da una reazione chimica avvenuta durante il processo di impermeabilizzazione.
Le origini del panno Casentino risalgono ai tempi etruschi e romani, e da sempre rappresenta un simbolo dell’artigianato toscano. In passato vestiva i lavoratori all’aperto e nel Trecento veniva persino accettato come forma di pagamento delle tasse a Firenze.
La lana arricciata conquistò la ribalta internazionale quando Audrey Hepburn indossò un cappotto in panno Casentino in Colazione da Tiffany. Attraverso Holly Golightly, da indumento da lavoro si trasformò in un’icona intramontabile dell’eleganza italiana.

Cosa è successo: il contesto economico e geopolitico
La fine era nell’aria già da tempo — almeno dal 2022 — ma ora sembra definitiva. Infatti, è arrivato l’ultimo capitolo per Manifattura del Casentino a Soci (Bibbiena), l’ultima azienda a produrre questo tessuto unico. Con la società in liquidazione e i 13 lavoratori licenziati, la fabbrica è ferma. Restano solo i macchinari, compresi quelli specializzati nella cardatura, essenziali per creare il caratteristico effetto arricciato. La scadenza è fissata a dicembre: se nessuno interverrà, verranno smantellati.
Secondo il Corriere Fiorentino, l’ultima crisi dell’azienda è stata il riflesso della precedente. Nell’estate del 2022, c’erano ordini ma non produzione, a causa del fallimento della vecchia gestione. Quando la produzione è finalmente ripartita, gli ordini erano ormai svaniti, travolti dalla più ampia crisi del tessile.
I titolari, Roberto Malossi e Andrea Fastoni, avevano lanciato l’allarme un anno e mezzo fa, ribadendolo anche lo scorso Natale. Senza nuovi ordini, la chiusura è diventata inevitabile.
“Abbiamo resistito fino a giugno”, ha spiegato Fastoni, “anche se il fatturato è crollato a 300.000 euro — un terzo di quello del 2023 e un decimo del 2022. Poi, dal primo luglio, abbiamo dovuto mettere i dipendenti in cassa integrazione. Abbiamo contattato subito la Regione, ma le trattative per una vendita non si sono mai concretizzate. È rimasto solo il TFR”.
Industria tessile: la tempesta perfetta
La situazione è diventata insostenibile, racconta Fastoni, citando una tempesta perfetta di difficoltà: “Non era solo la crisi generale del tessile che colpisce distretti come Prato e Biella. Siamo stati penalizzati anche dalle sanzioni contro la Russia — uno dei nostri principali mercati — e dalle tensioni in Medio Oriente, che hanno fatto aumentare i costi delle materie prime, come i coloranti. Il colpo più duro è stato l’aumento dei costi energetici: le nostre bollette di luce e gas hanno raggiunto i 40.000 euro al mese, portando a insoluti e, infine, al distacco della corrente. Siamo anche indietro con l’affitto. Roberto Bellandi, l’imprenditore pratese che nel 2022 aveva acquistato il capannone per consentirci di ripartire, è stato paziente, ma non possiamo contare all’infinito sulla sua generosità.”
L’insieme di questi fattori ha portato alla decisione di liquidare la società — una scelta che ora minaccia l’intera filiera. Anche le due aziende partner, che fornivano il tessuto grezzo e ne curavano la commercializzazione, subiranno gravi ripercussioni.
“La scadenza è imminente», avverte Fastoni. «Se nessuno si farà avanti nelle prossime settimane, un pezzo unico del nostro patrimonio tessile scomparirà per sempre.”
Considerazioni finali
Come ha scritto amaramente Salvatore Mannino sul Corriere Fiorentino: “Mentre i dirigenti della CGIL di Arezzo discutono sulla crisi, ora servirebbe un miracolo — di quelli che si vedono nei film romantici con Audrey Hepburn. Ma Soci non è Hollywood”.
Ma il panno Casentino non è solo un tessuto. È storia, tradizione, artigianalità e cultura intrecciate insieme. La chiusura della Manifattura del Casentino non è solo una perdita economica — è una perdita culturale.
Stiamo assistendo alla scomparsa di un simbolo dell’identità italiana, filo dopo filo. I colori caldi e terrosi che un tempo definivano gli inverni toscani stanno svanendo nel silenzio. Ancora una volta, la piccola manifattura soccombe alla logica del mercato, alla burocrazia e all’inerzia politica.
Dunque, cosa sta facendo la politica — se non riesce a proteggere l’eredità che ci definisce? E quando dicono di voler tutelare il Made in Italy, cosa intendono davvero?
Se non siamo in grado di preservare ciò che ci rende ciò che siamo, che cosa stiamo costruendo, allora?