Come la società contemporanea confonde la libertà con l’erosione delle buone maniere
Non si può fare a meno di riflettere sulla scomparsa della civiltà, e la crescente confusione tra eleganza, buone maniere e il mito della democratizzazione.
Le buone maniere hanno sempre incluso il vestire in modo appropriato al luogo e all’occasione. Eppure, quando si affronta questo tema, la risposta è spesso una critica in nome della democratizzazione. Oggi, questa nozione viene sempre più bollata come antiquata, persino oppressiva. La mancanza di educazione, un progressivo allentamento dei codici comportamentali – dai luoghi di lavoro ai matrimoni – viene giustificata da un erroneo senso di libertà e uguaglianza. Come se eliminare le regole fosse un atto di liberazione, anziché un indebolimento del nostro tessuto sociale condiviso.
La civiltà, come l’eleganza, non ha nulla a che fare con la ricchezza.
Buone maniere ed eleganza vs. ricchezza
Questo riflette la confusione fondamentale della nostra epoca: scambiare la libertà per negligenza e la democrazia per l’appiattimento di ogni sfumatura. Le buone maniere – che includono anche il saper vestire in modo appropriato al contesto – sono una forma di rispetto, verso sé stessi e verso gli altri. Non richiedono lusso, solo intenzione. Costituiscono un linguaggio silenzioso che comunica attenzione, consapevolezza e sensibilità sociale. Non hanno nulla a che fare con la ricchezza materiale, ma con una ricchezza interiore. Cioè, la capacità di abitare il mondo con grazia.
Eppure oggi, qualsiasi codice o standard viene accolto con sospetto – come se fosse elitario o esclusivo. La benintenzionata spinta all’inclusività ha paradossalmente normalizzato l’indifferenza. La sciatteria indossa la maschera dell’autenticità; la trascuratezza si atteggia a ribellione, come se fossero simboli di liberazione o progresso. Abbiamo dimenticato che la vera democratizzazione non è “nessuna regola”, ma garantire che tutti abbiano accesso agli strumenti per compiere scelte consapevoli.
Le buone maniere o l’eleganza non sono privilegi di pochi, né legate alla ricchezza. Sono patrimonio di chi sceglie di coltivarle, e questo vale anche per il modo in cui ci vestiamo.
Il mondo è pieno di miliardari privi di alcuna traccia di eleganza. Ed è proprio questo il punto: sono valori, non merci. Eppure, in un’epoca in cui tutto viene misurato in termini economici, perdiamo di vista tutto ciò che non può essere comprato. E che, paradossalmente, vale molto più di qualsiasi cosa acquistabile.
Le convenzioni sociali – compresi i codici di abbigliamento – non sono gabbie, ma coordinate culturali che permettono una convivenza più armoniosa. Abbandonarle in nome dell’autenticità o della spontaneità senza filtri spesso significa rinunciare a quel sottile tessuto di rispetto reciproco che tiene unita la vita sociale.
Considerazioni finali
La vera democrazia non abolisce la civiltà – la rende accessibile a tutti. In fondo, le buone maniere e l’eleganza non sono altro che espressioni di attenzione, empatia e cura. Valori che non hanno nulla a che fare con la classe sociale, e tutto a che fare con la qualità umana.
A proposito della scomparsa della civiltà, Pier Paolo Pasolini disse una volta:
«La volgarità è la massima espressione del conformismo.»
Le sue parole ci ricordano che quando lo smantellamento degli standard viene scambiato per progresso, rischiamo di sostituire la vera libertà con una sua rappresentazione superficiale. Ciò che perdiamo non è solo la formalità, ma una cultura radicata nel significato. Una cultura in cui la cura, l’eleganza e l’attenzione non erano gesti elitari, ma segni di rispetto.
Al loro posto, ereditiamo una casualità performativa. L’indifferenza ora si spaccia per autenticità.