Le fashion week sono specchi: note sulla Milano Fashion Week PE26

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Creatività e nuove direzioni in tempi di incertezza


Le fashion week sono specchi. Non mostrano solo abiti, ma riflettono le tensioni, le aspirazioni e le ansie del nostro tempo. Per la stagione Primavera/Estate 26 a Milano, sono emersi temi di fuga, utilità e trasformazione, riflettendo i tentativi dell’industria di ridefinire la propria identità.

Così, dopo la nostra analisi di queste tensioni generali alla Milano Fashion Week SS26, condividiamo ora alcune note sulle collezioni che hanno definito la stagione.

Le collezioni: uno spettro di risposte

Diesel:  Glenn Martens ha superato la tradizionale passerella, organizzando una caccia al tesoro in città con look nascosti in gigantesche uova di plastica. Questa presentazione estrosa e decentralizzata ha sfidato il formato convenzionale della fashion week.

Jil Sander: l’esordio di Simone Bellotti si è concentrato sul minimalismo anni ’90. Una scelta notevolmente pulita che ha mostrato il corpo attraverso tagli ispirati a Lucio Fontana. Infatti, la maison l’ha descritta come “un equilibrio tra classicismo e modernità”.

Marras: la sfilata è stata un viaggio poetico che ha intrecciato letteratura, arte e moda. Ispirata da un soggiorno sardo immaginato per il Bloomsbury Group, le modelle hanno sfilato tra saline con libri infilati dentro. La collezione, dai colori soft e sussurrati, presentava linee fluide e morbide, oppure androgine e strutturate. Plasmando così un universo che fondeva culture.

Fendi:  la collezione ha enfatizzato la leggerezza, il colore e un’essenzialità che abbracciava sia il femminile che il maschile. Si è distinta come un dialogo concettuale e materiale. In particolare nei pezzi tessuti con più colori, che mostravano una maestria artigianale e una tecnica eccezionali.

Prada: ha offerto una proposta di abbigliamento per tempi incerti, con un accento sui colori. Il vintage può essere moderno? La risposta è stata una lezione di stile sulla sovrapposizione di volumi e colori per uniformi contemporanee. La collezione vuole essere una “risposta all’incertezza: vestiti che possono trasformarsi, cambiare e adattarsi”, concedendo a chi li indossa “autonomia” e progettati con “significato e utilità” per sopravvivere nel mondo moderno.

Moschino: il direttore creativo Adrian Appiolaza si è chiesto: “E se il valore non venisse dal costo, ma dall’andare veramente in profondità nelle idee creative?”. Ispirata dall’Arte Povera e dall’ironia nativa del brand, la collezione ha trovato preziosità in materiali umili come la iuta, sostenendo il riutilizzo, il riciclo e l’upcycling.

Dolce & Gabbana: mentre il cast de Il Diavolo veste Prada entrava in passerella, il confine tra realtà e cinema è svanito. Degne di nota le risatine di Anna Wintour che scambia sguardi con Miranda Priestley – Meryl Streep. Ma ci siamo chiesti perché un’intera collezione concentrata sul tema del pigiama, che è concetto già molto visto.

Bottega Veneta: sotto la nuova direzione creativa di Louise Trotter, il brand ha visto un forte esordio. Infatti, la Trotter ha lavorato in modo magistrale con i volumi e le texture tridimensionali intrinseche al brand, sviluppando un minimalismo ricco e sofisticato.

Versace: il brand ora è parte del Gruppo Prada. Così, Dario Vitale (ex Miu Miu) ha debuttato con una vena che ricorda Miu Miu. Colori e un mix di stampe, una sartoria audace e ammiccante per un Versace moderno ispirato agli anni ’80.

Considerazioni finali: le settimane della moda sono specchi


In conclusione, prendiamo appunti sulla Milano Fashion Week Primavera/Estate 26 in parte per noi stesse – per tracciare le correnti che modellano l’industria e capire cosa potremmo aspettarci in seguito. E sì, abbiamo intenzionalmente saltato il Gucci di Demna, perché semplicemente non ne cogliamo il senso (proprio di Demna).

L’eredità italiana di artigianato, design e qualità rimane una fonte di immenso orgoglio. Eppure, la moda non può essere considerata isolatamente. Infatti, la questione centrale non è un singolo brand o una singola sfilata; è sistemica. È il capitalismo – uno schema che si ripete in tutte le industrie a livello mondiale. Ma perché tutti lo ignorano?

Le fashion week sono specchi. La stagione Primavera/Estate 26 dimostra che la creatività non è morta: è irrequieta, in costante ricerca, a volte giocosa, a volte profonda. Eppure, dietro lo spettacolo, la moda continua a lottare con questioni di valore, responsabilità e scopo.

Finché quelle contraddizioni più profonde non saranno affrontate, ogni stagione rimarrà sia un atto di immaginazione affascinante che un duro promemoria del sistema che le contiene.

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