Londra è ancora un bastione di ribellione creativa o un palcoscenico per il fast fashion?
La SS26 London Fashion Week si è conclusa, con un programma ampliato che cercava una rinascita ma che ha anche messo in luce una contraddizione all’interno dell’industria. Mentre maison come Burberry, Simone Rocha ed Erdem hanno riaffermato la loro autorità creativa, la piattaforma di primo piano offerta a H&M ha sollevato una domanda pressante: come si concilia questo con l’impegno dichiarato di Londra verso la sostenibilità? La linea che separa lusso e fast fashion non si è solo sfumata— è crollata.
SS26 London Fashion Week: i momenti creativi
Da Burberry, Daniel Lee ha rielaborato il patrimonio culturale britannico in chiave rockstar. La collezione era un omaggio alla swinging London: orli corti, completi slim e stivali in pelle ispirati al Mod, il tutto accompagnato da una colonna sonora dei Black Sabbath. Un tributo a Ozzy Osbourne che ha deliziato noi fan. (Guarda lo show qui).
Lee ha commentato: “I musicisti hanno sempre avuto uno stile incredibile, e insieme alla moda formano una cultura molto forte.” Questo era certamente vero un tempo. Oggi le rock star non hanno uno stile personale ma stylist. E vengono pagati per indossare abiti dei vari marchi — ma questo è argomento per un altro post.
Simone Rocha ha offerto una boccata d’aria fresca con una collezione femminile, infantile e fiabesca, dove leggerezza e atmosfera eterea prevalevano. I suoi design ci hanno ricordato perché Londra è da tempo un laboratorio di sperimentazione creativa. (Guarda i look qui). Nel frattempo, Erdem ha esplorato le “identità sovrapposte”, sfumando i confini tra storia e immaginazione in una magistrale dimostrazione di narrazione creativa. (Guarda lo show di Erdem qui).
Eppure, questa riaffermazione creativa è stata messa a confronto con l’inclusione strategica di H&M nell’evento. Il colosso svedese della fast fashion ha organizzato una presentazione immersiva, sfruttando l’energia giovanile della città. La sua presenza non era un’anomalia, ma una mossa calcolata che parla chiaro sulle attuali priorità dell’evento.
La logica della piattaforma H&M
Laura Weir, nuova CEO del British Fashion Council e ex editor di Vogue, ha descritto il compito di ripristinare lo status di Londra nella moda come “un’impresa erculea”. Dopo Brexit, Covid, instabilità economica e guerre, il suo impegno è comprensibile. Ma se l’obiettivo è rafforzare la posizione globale di Londra, dare a H&M un ruolo così di primo piano è davvero una scelta significativa a lungo termine?
Per H&M, un posto nel calendario della LFW è il massimo colpo di PR. Acquista prestigio e “cool factor” per riposizionarsi da venditore di capi basic economici a trend-maker legittimo, aiutando a giustificare collaborazioni premium e partnership con designer.
Dal punto di vista degli organizzatori, la logica è altrettanto chiara: la LFW è, dopotutto, un business. Burberry genera stampa, ma il British Fashion Council ha bisogno di entrate. L’ingente investimento di H&M aiuta a sovvenzionare designer più piccoli ed emergenti, linfa vitale della reputazione londinese per l’innovazione. Inoltre, una presentazione H&M può attirare celebrità e mega-influencer che altrimenti non parteciperebbero a uno show più piccolo e d’avanguardia. (Tristezza della moda contemporanea, a dirla tutta.) Questo genera enorme visibilità sui social e copertura mediatica che amplifica la risonanza dell’evento.
Quando il confine sfumato diventa visione confusa
I confini tra moda di lusso e fast fashion non sono più semplicemente sfumati — si stanno cancellando a vicenda.
Il lusso ha adottato il ritmo del fast fashion: pre-collezioni, collezioni cruise e innumerevoli “drop”. Devono alimentare costantemente la macchina dei contenuti e delle vendite. Inoltre, corteggiano influencer e celebrità in modo che ricorda il marketing di massa.
La fast fashion, a sua volta, cerca il capitale culturale del lusso: H&M assume ex designer del lusso, produce linee “premium” e realizza campagne ad alto valore produttivo per emulare il lusso.
La London Fashion Week ha sempre celebrato l’eclettismo e la sperimentazione. Londra è storicamente la culla dello street style cooptato dall’alta moda (punk, mod, ecc.). È lì che Vivienne Westwood vendeva abiti in un negozio chiamato SEX. Ma c’è un abisso tra elevare la ribellione dal basso e dare visibilità a un colosso del fast fashion.
La domanda critica è: qual è il costo di questa curatela “inclusiva”? Includendo H&M, la LFW nutre la creatività o legittima un modello di business basato sul consumo eccessivo? Questa mossa mette direttamente in discussione l’aura di esclusività e creatività. E, soprattutto, i valori ecologici che Londra dichiara di sostenere.
Considerazioni finali
L’energia rock di Burberry e la presentazione di H&M sono due facce della stessa medaglia nell’industria della moda odierna. La SS26 London Fashion Week non si limita a osservare il crollo del divario tra high e low fashion; lo sta attivamente curando e capitalizzando.
Il pericolo è che il potere mediatico dei player del fast fashion possa soffocare le voci emergenti, trasformando ciò che dovrebbe essere una celebrazione della creatività in una convenzione di marketing. Il vero DNA “street” londinese è anti-establishment e autentico. Allinearsi con il fast fashion corporativo è l’opposto — è l’abbraccio definitivo dell’establishment.
Dando a H&M una piattaforma, la London Fashion Week potrebbe non solo vendere biglietti — potrebbe vendere la sua anima.