Uno studio pubblicato su Scientific Reports rivela che la moda dell’usato può incoraggiare gli stessi sprechi che avrebbe dovuto sostituire
In This is Greenwashing abbiamo sostenuto che la moda secondhand è uno strumento importante. Certo, ma solo dopo una drastica riduzione dei consumi complessivi. Un nuovo studio rappresentativo a livello nazionale, condotto su 1.009 consumatori statunitensi, conferma questo messaggio di cautela.
Pubblicato nell’ottobre 2025 su Scientific Reports (una rivista del gruppo Nature Portfolio), l’articolo — intitolato “Secondhand fashion consumers exhibit fast fashion behaviours despite sustainability narratives” — rileva che gli acquisti di seconda mano spesso si aggiungono, anziché sostituire, quelli di capi nuovi di abbigliamento. In molti casi, sono anche associati a una breve durata dei capi e a un rapido ricambio.
Risultato principale e paradosso centrale
Il punto chiave: comprare usato non sostituisce in modo affidabile il comprare nuovo. Lo studio ha rilevato che le persone che spendono di più per l’abbigliamento di seconda mano tendono anche a spendere significativamente di più per quello nuovo. Ciò significa che i consumatori più attivi nel mercato dell’usato sono spesso anche i maggiori acquirenti nel mercato primario.
Il paradosso: il mercato secondario talvolta rafforza gli stessi comportamenti ad alto ricambio e breve durata associati al fast fashion. Ciò crea un effetto rimbalzo anziché una riduzione dell’impatto ambientale. La rivendita, promossa come soluzione sostenibile, può riprodurre le dinamiche del fast fashion (alti volumi, breve utilizzo) se il consumo complessivo non diminuisce.
Evidenze principali
- Correlazione: spese per nuovo e usato si muovono insieme
Lo studio ha rilevato che chi acquista molti capi usati è anche tra i maggiori acquirenti di capi nuovi. Invece di sostituire gli acquisti di nuovi prodotti, lo shopping di seconda mano spesso si aggiunge ad essi. - Comportamenti ad alto volume e breve durata:
Un’analisi dei cluster ha identificato un gruppo maggioritario (circa il 59%) che acquista frequentemente e conserva i capi per periodi brevi. All’interno di questo gruppo, il 37,9% ha dichiarato di disfarsi degli articoli entro un anno e il 14,2% entro un mese. Inoltre, il 40% degli intervistati possedeva capi mai indossati. Questi modelli indicano un elevato ricambio piuttosto che un uso prolungato. - I consumatori più giovani guidano la tendenza:
I consumatori più giovani (Gen Z e Millennial) sono i più attivi sia nei mercati dell’usato sia in quelli primari, aumentando il rischio che gli acquisti nuovi e di seconda mano coesistano anziché sostituirsi. - Divario tra conoscenza e azione:
La conoscenza, da sola, non genera comportamenti sostenibili. Gli autori osservano che una maggiore consapevolezza in tema di sostenibilità non predice in modo affidabile un minore consumo o una più lunga conservazione dei capi.
Le spinte psicologiche evidenziate dagli autori
Lo studio suggerisce due teorie comportamentali chiave per spiegare questo paradosso:
- Effetto rimbalzo: il denaro risparmiato o la “sensazione verde” derivante dall’acquisto di seconda mano possono giustificare psicologicamente o economicamente l’acquisto di un numero maggiore di articoli, annullando così il beneficio ambientale.
- Licenza morale: compiere una scelta percepita come “virtuosa” (comprare usato) dà alle persone un senso di “credito morale”. Senso che poi usano per giustificare comportamenti meno sostenibili (comprare di più, scartare più velocemente).
In sintesi
Questo studio non scredita l’idea dell’usato — ne rivela i limiti. Il secondhand fa parte degli strumenti della sostenibilità, ma non è una soluzione miracolosa. Senza cambiamenti culturali e strutturali che riducano il numero complessivo di acquisti (comprare meno, valorizzare la sufficienza, progettare per la durata e la riparazione), i mercati della rivendita rischiano di diventare un altro canale di iperconsumo in stile fast fashion. Se l’obiettivo è la sostenibilità, l’accento deve essere posto sul possedere e comprare meno. Indipendentemente dal fatto che gli articoli siano nuovi o usati.
Considerazioni finali
Questo rapporto mette chiaramente in luce il legame tra il mercato della moda secondhand e l’iperconsumo, poiché ne rispecchia sempre più i comportamenti tipici del fast fashion.
I risultati sfidano direttamente la narrazione semplicistica secondo cui “la moda secondhand è sempre sostenibile.” È solo una verità parziale. Il problema non è solo dove compriamo, ma quanto consumiamo. Il mercato dell’usato, nella sua forma attuale, non sta rallentando il sistema del fast fashion. Al contrario, ne sta diventando un ulteriore canale.
La vera sostenibilità richiederà un cambiamento culturale: dal consumo costante alla sufficienza. Comprare e possedere meno nel complesso, sia nuovo che usato.
Tuttavia, un punto ci ha colpito particolarmente. Troviamo profondamente scoraggiante il divario tra conoscenza e azione. Se la conoscenza da sola non basta a fungere da catalizzatore del cambiamento, cos’altro serve per spingerci ad agire?