L’Italia blocca la Direttiva UE sulle dichiarazioni ambientali, frenando la regolamentazione anti-greenwashing

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Il fallimento della direttiva e cosa significa per la lotta dell’Europa contro il greenwashing


Il panorama normativo europeo appare sempre più opaco, mentre i leader politici si allontanano dalla regolamentazione anti-greenwashing. In particolare, la direttiva sulle dichiarazioni ambientali, un provvedimento legislativo centrale per contrastare il greenwashing, è stata bloccata.

La Commissione Europea ha recentemente annunciato l’intenzione di ritirare la proposta, citando l’opposizione di diversi Stati membri e le crescenti pressioni da parte dei gruppi di destra nel Parlamento europeo. L’Italia ha avuto un ruolo decisivo in questa battuta d’arresto, ritirando il proprio sostegno e affondando di fatto l’ultimo round di negoziati interistituzionali (trilogo), una fase essenziale nel processo legislativo dell’UE. La decisione ha suscitato critiche da parte di organizzazioni ambientaliste e associazioni dei consumatori.

Regolamentazione anti-greenwashing: cosa prevedeva la direttiva


Nel suo nucleo, la Direttiva sulle dichiarazioni ambientali mirava a limitare le affermazioni ambientali fuorvianti da parte delle aziende. L’obiettivo era quello di promuovere maggiore onestà e trasparenza nella comunicazione sulla sostenibilità e nell’etichettatura dei prodotti all’interno dell’UE. Tra le misure chiave:

  • Trasparenza e verificabilità: Le autorità avrebbero richiesto alle aziende prove concrete e verificabili a sostegno delle dichiarazioni ambientali.
  • Divieto di linguaggio vago: Termini come “eco-friendly”, “sostenibile” o “carbon neutral” non sarebbero più stati ammessi senza dati solidi a supporto.
  • Etichettatura più chiara: Le etichette ambientali avrebbero dovuto essere comprensibili, standardizzate e significative per i consumatori.
  • Maggiore tutela dei consumatori: La direttiva puntava a proteggere i cittadini da pratiche di marketing ingannevoli legate alla sostenibilità.

Il ruolo dell’Italia e le ragioni del ritiro


Il governo italiano, guidato da Giorgia Meloni, si è apertamente opposto alla direttiva. La motivazione ufficiale è stata quella di ridurre gli oneri burocratici e i costi aggiuntivi per le imprese, soprattutto per le piccole e medie imprese, che rappresentano una parte significativa dell’economia dell’UE.
Tuttavia, i critici sostengono che si tratti di un allineamento politico più ampio volto a indebolire la normativa ambientale. Alcuni ipotizzano persino che la Presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, abbia coordinato la decisione, sollevando ulteriori dubbi sull’impegno dell’UE nei confronti del Green Deal.

Le conseguenze: implicazioni e preoccupazioni


Il ritiro della direttiva comporta implicazioni significative:

  • Annullamento del trilogo: L’ultima fase di negoziazione tra le istituzioni europee è stata cancellata.
  • Reazioni pubbliche: Le organizzazioni ambientaliste e le associazioni dei consumatori hanno espresso profonda delusione, definendolo un grave passo indietro.
  • Vuoto normativo: In assenza di un quadro legislativo chiaro, le aziende potrebbero continuare a praticare il greenwashing con scarsa responsabilità.

Regolamentazione anti-greenwashing – Considerazioni finali


In sostanza, il rigetto della Direttiva sulle dichiarazioni ambientali rappresenta una preoccupante battuta d’arresto nella spinta dell’Europa verso una comunicazione ambientale più trasparente e onesta. Solleva dubbi sulla reale volontà politica di contrastare le dichiarazioni ingannevoli sulla sostenibilità e di proteggere i consumatori.

Per un continente che si è a lungo presentato come leader globale nelle politiche ambientali, l’arretramento della regolamentazione anti-greenwashing lancia un messaggio allarmante.

Cosa ne pensi? È stato un errore politico o un segnale di un allontanamento più profondo dagli impegni sulla sostenibilità?
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